Abbiamo scelto, come interlocutore d’eccezione, il Prof. Pierluigi Viale, Direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola – Malpighi di Bologna.
Professor Viale, può spiegarci la differenza tra la forma virale e la forma batterica di meningite e quali sono i sintomi?
P.V. “Innanzitutto, è importante sapere che, in linea generale, la diagnosi di meningite va sospettata in ogni paziente con una cefalea febbrile. Inoltre, nelle età estreme della vita la malattia può avere connotazioni cliniche più sfuggenti: nel bambino devono destare sospetto sintomi quali torpore, ridotta reattività, assenza di pianto, mentre nell’anziano la malattia si può manifestare, anche in assenza di febbre, con alterazioni del sensorio, per cui il paziente non parla, è strano, irritabile oppure rallentato. Per quanto riguarda la meningite virale, a questo termine è sotteso un universo di condizioni cliniche che variano a seconda dell’età del paziente, del periodo dell’anno e anche della zona geografica. Esistono, infatti, meningoencefaliti virali che hanno una classica connotazione geografica, come la meningite da virus toscana nelle province dell’Appennino tosco-emiliano, la Tick Borne Encephalitis del bellunese e delle alpi friulane, la West Nile Fever nella zona del Delta del Po. Sono malattie diverse l’una dall’altra, a ciclo stagionale, legate alla puntura di insetti diversi.
Vi sono infine forme ubiquitarie, che possono colpire in tutti i luoghi ed a tutte le età: in questo caso i sintomi della meningite sono evidenti e si manifestano con febbre e cefalea intense, associate anche ad alterazioni del sensorio, ma di solito hanno prognosi buona, a differenza delle forme batteriche”.
Meningite batterica e fattore tempo: in cosa consiste questo legame?
P.V. “Spesso arrivano in pronto soccorso pazienti con una cefalea febbrile presente già da alcuni giorni. Se si tratta di meningite virale, non ci sono per lo più problemi. Se invece la puntura lombare evidenzia una meningite batterica, nella maggior parte dei casi causata da meningococco, haemophilus influentiae o pneumococco, prima si inizia la terapia meglio è. Nella meningite batterica, infatti, c’è una stretta correlazione tra tempo di inizio terapia e mortalità”.
Quali sono le cause della meningite batterica?
P.V. “La frequenza dei diversi agenti eziologici può variare in rapporto all’età del paziente ed alle sue comorbosità, ovvero la coesistenza di più patologie diverse nello stesso individuo: in linea generale, e trascurando l’ambito neonatale, si può affermare che haemophilus influenzae nel bambino, meningococco nel bambino e nel giovane adulto, pneumococco e listeria monocytogenes nell’anziano siano i patogeni prevalenti. Questi batteri si spartiscono infatti la maggior parte delle meningite batteriche che si verificano in Italia. Per le tre più frequenti, haemophilus, meningococco e pneumococco, il contagio avviene per via aerea, normalmente in modo diretto”.
Le forme batteriche si possono curare?
P.V. “Si, esistono terapie antibiotiche che se fatte nei modi e nei tempi giusti risolvono il problema. Tuttavia le meningiti batteriche hanno ancora un tasso di mortalità medio intorno al 15% e questo è dovuto sia al fatto che spesso i pazienti arrivano troppo tardi in pronto soccorso, sia purtroppo alla presenza di casi talmente acuti che portano alla morte nel giro di poche ore, rispetto ai quali i margini di intervento sono davvero modesti. Il fattore tempo però resta un principio fondamentale nel management delle meningiti batteriche. Tanto che la “scuola di Bologna” da tempo persegue un protocollo che prevede la terapia precoce, anzi precocissima, anche prima di avere la certezza diagnostica. In altri termini, se il medico dopo aver visitato il paziente ritiene che ci siano i segni che suffraghino il sospetto di sindrome meningea e non è nelle condizioni di eseguire una puntura lombare in tempi brevi (perché occorre un trasferimento in un ospedale di riferimento o per altri motivi) intanto interviene subito somministrando la terapia antibiotica e steroidea, questo perché quelle poche ore guadagnate possono salvare la vita al paziente. Si tratta di un protocollo applicato da oltre 10 anni, prima in Friuli Venezia- Giulia ed ora nell’area bolognese, che ha determinato una consistente riduzione del tasso di mortalità rispetto alla media”.
Rispetto al caso delle due ragazze milanesi: cosa è successo? Perché non si è potuto intervenire?
P.V. “Queste persone non sono morte di meningite meningococcica, ma di sepsi meningococcica, che è una cosa diversa. Si tratta di ceppi di meningococco (e talvolta anche di pneumococco) così aggressivi che portano ad una condizione di shock settico e spesso di morte ancor prima di sviluppare la meningite. È quanto avvenuto, ad esempio, all’atleta Bebe Vio, che non è morta, ma ha pagato un prezzo altissimo. Si tratta di casi rari, ma non rarissimi, che hanno un andamento fulminante, non presentano i classici sintomi della meningite e purtroppo fanno parte della normale epidemiologia europea. Questi patogeni, infatti, si trovano nel nostro ecosistema e li respiriamo. Tutti siamo a contatto con il batterio meningococco o pneumococco, ma in questi casi rari le persone hanno respirato il patogeno sbagliato, ovvero particolarmente aggressivo, nella quantità sbagliata, nel momento sbagliato, magari perché il sistema immunitario non è stato pronto a mettere in atto nessun meccanismo di risposta. Purtroppo per questi casi è davvero una questione di sfortuna. Ma in tutto questo la soluzione c’è: difendersi dalla meningite con il vaccino”.
Parliamo, quindi, di prevenzione della meningite. Vaccinarsi è importante? Chi può fare il vaccino?
P.V. “Il vaccino funziona. Nessuna delle persone morte purtroppo era vaccinata. Il vaccino contro la meningite permette di evitare queste morti, ma purtroppo in Italia abbiamo un’adesione bassa ad ogni tipo di vaccinazione. Quella da meningococco C, il più diffuso in Italia, fa parte dell’offerta vaccinale in età pediatrica. Esiste infatti un vaccino quadrivalente che copre quattro ceppi, tra cui il meningococco C, e per quante nuove selezioni di ceppi possano nascere, già se tutti si vaccinassero con questo sarebbe un risultato straordinario, che ridurrebbe il numero di casi a valori vicini allo zero.
Il vaccino contro la meningite da meningococco B è commercializzato e dovrebbe rientrare nell’offerta vaccinale gratuita dal prossimo anno. Tutti, quindi, possono vaccinarsi: sul bambino non ci sono dubbi e bisogna seguire l’offerta vaccinale della propria Regione di appartenenza. Se non lo hanno ancora fatto, anche i giovani adulti dai 20 ai 40 anni, dovrebbero fare il vaccino; ad esempio gli studenti di liceo e universitari, i quali hanno una vita sociale molto intensa (frequentano aule, discoteche, luoghi affollati, viaggiano e stanno a contatto con molte persone), sono un target vaccinale importante. Dopo i 60 anni, invece, è consigliabile il vaccino per lo pneumococco, che tra l’altro elimina anche il rischio di polmonite pneumococcica, malattia molto frequente, che negli anziani può avere conseguenze serie”.
In Italia, quindi, a livello generale, bisogna tornare a parlare dell’importanza dei vaccini.
P.V. “Sì, perché in Italia non ci si vaccina più, e si tende a dimenticare che i costi e gli effetti collaterali dei vaccini sono una goccia nel mare rispetto ai costi e agli effetti collaterali, tra cui la morte, delle malattie che vanno a prevenire. È il caso, ad esempio, del vaccino per il morbillo che ha un’incidenza di encefalite post vaccinale di 1 caso ogni 10.000.000, mentre il morbillo, oltre a essere particolarmente fastidioso, ha un’incidenza di encefalite post morbillo di 1 caso su 1000.
Occorre guardare ai vaccini con fiducia e senso civico: vaccinarsi non è una cosa che si fa solo per se stessi, ma anche per tutti coloro che ci stanno attorno. Non vaccinarsi è una scelta che fa parte di una cultura individualista, a danno dell’intera comunità. Per questo dico che l’adesione alla vaccinazione è un esempio di educazione civica, è un segno di civiltà e un metro di misura per capire quanto siamo aperti verso il prossimo”.
Grazie Professor Viale per il tempo che ci ha dedicato e per le preziose informazioni.
Conoscere i principali sintomi della meningite e l’importanza del vaccino ci aiuta a fare scelte consapevoli. Ci sono altri aspetti che vorreste approfondire riguardo questa infezione?
4 commenti
Il suggerimento quindi qual’è? Potete fornire delle indicazioni dove e come vaccinarsi?
Io lo vorrei fare ma non so neanche da dove cominciare, a chi rivolgermi, etc.
grazie
Cordialmente
Chiara Falcini
Buonasera Chiara. Il Ministero della Salute, di recente ha rassicurato tutti sottolineando che non c’è nessuna emergenza sanitaria a livello nazionale. La regione in cui, già da qualche anno, si è riscontrato un numero più elevato di episodi di Meningococco C è la Toscana: il vaccino è dunque consigliato soprattutto a chi vi risiede o frequenta in modo continuativo questa regione. Se vuoi vaccinarti, puoi rivolgerti al tuo medico curante o alla tua Asl di riferimento. In tutti i casi, abbiamo in cantiere un articolo che spiega a chi rivolgersi per il vaccino e indica i casi in cui è consigliato ricorrervi.
Grazie per averci scritto e buona serata 🙂
Si salve, mia madre è’ da una settimana in stato di incoscienza dopo aver contratto meningite batterica Conseguenza di una infezione batterica alla Spodilodiscite grave che aveva. Insomma una infezione molto estesa. Ma è’ in vita da due settimana ma negli ultimi giorni e’ in stato di incoscienza. HA 70 anni. Siamo ovviamente tutti distrutti. Ma il fatto che sia in vita e’ comunque un buon segno? Si può sperare ? Un saluto Jara
Buongiorno Jara, ci dispiace molto per tua madre. La questione è molto delicata e riuscire a darti una risposta è difficile, perché bisognerebbe conoscere lo stato di salute di tua madre, indipendentemente dall’infezione batterica che l’ha colpita. In questi casi, solo i medici che la seguono possono esserti realmente d’aiuto e possono provare a darti una risposta. Ti siamo vicini Jara, speriamo davvero che tua madre si riprenda con successo. Un caro saluto.